SUMMORUM PONTIFICUM DI BENEDETTO XVI
Papa Benedetto XVI dichiarò che le due forme del rito romano che si richiamano rispettivamente al Concilio Tridentino e al Concilio Vaticano II non sono riti distinti, ma due usi dell’unico rito, deprecando così le espressioni “rito antico” o “rito tradizionale” in relazione alla forma tridentine. La Pontificia commissione “Ecclesia Dei” nel parlare dell’edizione 1962 usò una volta l’espressione usus antiquior (più antico uso),[6] mentre alcuni, inglobando anche forme ancora più antiche (antiquiores), la chiamano la “messa romana classica” o “messa di san Pio V” o anche, ma inappropriatamente, “messa in latino“: anche la liturgia rivista del 1969 può essere celebrata in tale lingua (le editiones typicae, cioè quelle di riferimento, del Messale Romano rimangono in latino). Più raramente se ne parla come “Vetus Ordo Missæ” in contrapposizione al termine “Novus Ordo Missæ” con cui alcuni a volte indicano il rito romano riformato dopo il Concilio Vaticano II; propriamente parlando, però, l’Ordo Missae non è la messa nella sua totalità, ma solo quella parte invariabile o quasi, che si chiama anche “Ordinario della messa”).[7][8]
Alcuni usano l’espressione “messa gregoriana” per indicare che la forma tridentina risale nelle linee essenziali alla liturgia di papa Gregorio I (e oltre). Questa espressione però si presta a essere confusa con le “messe gregoriane” o “ciclo gregoriano”, la pia pratica della celebrazione ininterrotta di trenta messe per trenta giorni consecutivi in suffragio dell’anima dello stesso defunto.[9]
Nella lettera di accompagnamento del suo motu proprio, Papa Benedetto XVI dichiarò che, con la promulgazione nel 1969 del nuovo Messale romano, l’ultima edizione tridentina, quella del 1962, “non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”[10] Il suo uso era circoscritto per lo più ad alcuni sacerdoti anziani e, più tardi, ai membri di certe fraternità quali la Fraternità sacerdotale San Pietro. In Inghilterra e Galles, il suo uso, ma con modifiche introdotte nel 1965 e nel 1967, era concesso a gruppi che ne facessero richiesta per occasioni speciali,[11] e nel 1984 papa Giovanni Paolo II, con l’indulto Quattuor abhinc annos, autorizzò i vescovi diocesani a permettere una più diffusa celebrazione.
Questi provvedimenti furono superati da papa Benedetto XVI con il menzionato motu proprio, con il quale estese a qualsiasi sacerdote della Chiesa latina il diritto di celebrare, sia privatamente[12] sia pubblicamente[13], la messa secondo il Messale romano del 1962. Questo motu proprio Summorum Pontificum (e le relative istruzioni concernenti la sua applicazione[6] emanate dalla Pontificia commissione “Ecclesia Dei” fino alla sua soppressione avvenuta il 17 gennaio 2019) la normativa della Chiesa cattolica sull’uso della «forma straordinaria» del rito romano dal 14 settembre 2007 fino al 16 luglio 2021, quando papa Francesco, con il motu proprio Traditionis custodes, ha rivisto completamente la normativa con effetto immediato, affermando: “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” e riservando esclusivamente al vescovo diocesano, come prima del 2007, la facoltà di permettere nella sua diocesi l’uso del messale del 1962.[14]
Il Primo Messale tridentino
Nel primo capoverso di questa bolla, il papa dichiarò che “sommamente conviene che uno solo sia il rito per celebrare la Messa”. Conseguentemente ordinò che in tutte le chiese locali, fatte salve le liturgie che avessero più di duecento anni, la messa “non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall’ordinamento del Messale da [lui] pubblicato”.[16] Questo decreto papale fu generalmente accettato senza difficoltà: erano poche le diocesi (e gli istituti religiosi) che potevano dedicare le necessarie risorse alla conservazione delle proprie tradizioni liturgiche, come le potenti sedi di Braga, Toledo, Milano, Lione, Colonia, Treviri.[17]
Quo primum tempore (*) è una costituzione apostolica in forma di bolla pontificia promulgata il 14 luglio 1570 da papa Pio V. Con questo documento il pontefice approvò l’edizione riformata del Messale Romano in esecuzione dei decreti del Concilio di Trento e ne estese l’uso all’intera Chiesa
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